di Carlo Manacorda
(già docente all’Università di Torino, esperto di contabilità pubblica)
Il discorso vale per Torino, ma anche per Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Venezia, cioè per le quattordici Città Metropolitane nate dalla cosiddetta “Riforma Delrio” del 2014. Vivono da sei anni, ma continuano a essere soggetti di incerta identità. L’opinione pubblica per lo più le ignora. Né potrebbe essere diversamente visto il sistema di elezione degli Organi, come diremo dopo. Ma, al tempo stesso, sono enti che pesano sulla finanza pubblica. In poche parole, siamo in presenza di un pasticciaccio che dura da sei anni e per il quale non si intravedono segnali di superamento.
L’origine. Si pensava di abolire le Province, cresciute abnormemente tra il 1991 e il 2004 (da 95 a 110). Le Regioni mettevano sempre più in evidenza l’inutilità di questo ente intermedio tra Comune e Stato. La soppressione delle Province rispondeva anche ad esigenze di contenimento della spesa pubblica. Inoltre ― con palese spirito demagogico ― l’abolizione delle Province appariva come un provvedimento “anti casta”, capace di far scomparire, in un sol colpo, centinaia di “sedie”.
Il Governo di centro-sinistra presieduto da Matteo Renzi e con Graziano Delrio Segretario del Consiglio dei Ministri, senza alcuna visione e ponderazione del quadro istituzionale d’insieme che ne sarebbe derivato, dà corpo a queste istanze e predispone la legge 56/2014 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e funzioni di comuni). La legge 56 ― nota, per l’appunto, come “Riforma Delrio” ― istituisce le Città metropolitane e attribuisce loro le funzioni fondamentali delle Province. Però le Province restano in vita con funzioni indefinite e transitorie. Provvedimenti statali e regionali devono rimettere in ordine il nuovo quadro istituzionale, segnatamente in materia di personale e finanziamento.
Vero è che la legge 56/2014 doveva unirsi alla riforma costituzionale impostata dal Governo Renzi. Ma la riforma cade col referendum del 2016. La “Riforma Delrio” resta quindi a mezz’aria. I provvedimenti statali e regionali di attuazione, se emanati, hanno ricadute irrilevanti. Anche il tavolo tecnico-politico tra Stato e Conferenza Enti locali, istituito per una revisione organica della legge 56 in merito a funzioni, personale e finanziamenti, non fa fare passi avanti. Restano così le Province con funzioni confuse e con finanziamenti ridotti (basti pensare allo stato di degrado delle strade provinciali o alle diatribe in materia di manutenzione di istituti scolastici). Le Province tuttavia continuano a pesare sulla finanza pubblica.
Per le Città metropolitane, al di là delle affermazioni formali del legislatore, permangono le incertezze su quali funzioni debbano effettivamente svolgere. E restano incerti i sistemi di finanziamento. Inoltre, non essendo stata emanata la legge statale che doveva disciplinare l’elezione diretta degli Organi della Città metropolitana, resta l’automatismo per cui il Sindaco del Comune capoluogo è anche Sindaco metropolitano e resta l’elezione indiretta del Consiglio metropolitano. Il Consiglio è eletto dai Sindaci e Consiglieri dei Comuni che fanno parte della Città metropolitana. Va da sé che l’assoluta esclusione dei cittadini dall’elezione degli Organi della Città metropolitana giustifica, pienamente, la loro totale indifferenza nei confronti di questo ente. La legge 56/2014 ha cancellato il diritto elettorale fondamentale della democrazia.
Torino ― come altre Città metropolitane ― si sta avviando alla prossima competizione elettorale d’autunno per il rinnovo dell’Amministrazione comunale. Non essendo intervenuta ― come detto ― la legge statale per l’elezione diretta del Sindaco metropolitano, il Sindaco di Torino sarà, automaticamente, il Sindaco della Città metropolitana di Torino. Chi vincerà la competizione non potrà dunque sottrarsi, a livello locale e nazionale, dall’affrontare i problemi tuttora aperti per la Città metropolitana e per le funzioni che deve svolgere.
Sebbene riconoscendone l’importanza, le Sinistre, finora, hanno preferito traccheggiare sul tema. Affrontare questi problemi significherebbe smontare una costruzione creata da loro sodali. E, comunque, redditizia per posizioni di partito (tanti bei posti di sottogoverno nel cui accaparramento la Sinistra è sempre stata abilissima).
E’ auspicabile che, se soffieranno venti diversi, si metta finalmente mano all’aborto istituzionale rappresentato dalla “Riforma Delrio”. Questo nell’interesse della salute dei conti pubblici e ponendo fine a sprechi di denaro pubblico ben presenti nella vicenda di questa riforma. E tutto questo può avvenire senza invocare l’ormai salvagente universale del Recovery plan.